Il Labirinto e il Minotauro come simbolo

 

Secondo Jacques Attali, i nostri giorni celebrano un trionfale il ritorno del labirinto, che si manifesta nell’impero delle reti, metropolitane, telematiche, informatiche, genetiche, nelle spirali del DNA… I nuovi Minosse, i signori della politica e della finanza, devono garantirsi i servigi dei moderni Dedali, artefici di griglie. Più che nel brancolare del linguista o dell’archeologo, il mistero del dedalo freme nell’intuizione del poeta: il vero labirinto è senza schemi, senza muraglie. Si chiama universo.

 

Il Labirinto… metafora di un percorso di crescita, conoscenza e consapevolezza, di un viaggio di formazione/iniziatico durante il quale la vita diventa ricerca continua di una via di uscita dai meandri che l’uomo stesso crea – mentre cerca di fuggirne.
Labirinto come metafora della condizione umana che non può trovare una verità assoluta, un senso definitivo, ma che è sempre da fare evolvere, ricercare, ricostruire…

 

Il labirinto disorienta, crea uno spazio del possibile, un ignoto da sperimentare e creare, sempre nuovo e non prevedibile. Esso ha dentro di sé la dimensione del doppio: da una parte “vieta” l’accesso, ostacola il percorso, dall’altra apre la porta verso altri accessi e altri percorsi, verso la crescita di consapevolezza e il raggiungimento di uno stadio più alto di conoscenza ed evoluzione. Da un lato è una via verso un “inferno” pericoloso e perturbante, dall’altro una scala verso un metaforico “paradiso” interiore.

 

Il labirinto contiene la dimensione simbolica del doppio attraverso il bivio: l’incontro con ogni bivio rappresenta l’incontro con un doppio, mettendo il viaggiatore di fronte a un momento in cui si ferma, si osserva e si deve scegliere. Una scelta binaria e netta fra due possibilità spesso opposte, come senso e direzione – sia spaziale che metaforica – da valutare osservando, ascoltando, confrontandosi con l’imprevisto e lo sconosciuto.

 

Il gioco del labirinto, spesso, ha un significato rituale: serve a scongiurare, rappresentandola, la paura della morte, l’angoscia dell’uomo di fronte alla nullificazione di tutte le cose. E’ un percorso in due tempi: l’entrata nel labirinto e il faccia a faccia col mistero costituiscono la prima parte, in cui gli attori del gioco sperimentano la perdita di sé. Il ritorno alla luce rappresenta una nuova nascita, attesta la continuità della vita, che di generazione in generazione rinnova se stessa.

 

“SE NON TI PERDI NON PUOI TROVARE STRADE NUOVE”

 

Nel labirinto si nota una materializzazione pressoché perfetta del processo di iniziazione. Al centro del labirinto, l’iniziando è solo con la sua realtà interiore, vi incontra se stesso, un principio divino, uno specchio, un Minotauro o qualsiasi altra cosa possa essere rappresentata da un punto dove avvengono l’accettazione, la pacificazione e una risoluzione temporanea, attraverso la costituzione di un temporaneo equilibrio, della nascita di un nuovo stato delle cose frutto della crisi evolutiva ciclica nel corso della vita di ogni essere umano.

 

Spesso, con il centro del labirinto si intende metaforicamente anche il luogo e la possibilità di una conoscenza così fondamentale da richiedere un mutamento di direzione radicale. Chi vuole tornare fuori da questo tipo di labirinto, deve fare dietrofront e ripercorrere i propri passi. Un tale cambio di direzione simboleggia anche l’allontanamento dal proprio passato e l’inversione del moto al centro significa non solo la rinuncia all’esistenza passata, ma anche un nuovo inizio. Chi esce dal labirinto, ne esce non come il vecchio, ma come rinato in una nuova fase o piano dell’esistenza. Al centro hanno luogo la morte e la rinascita; il “cuore” del labirinto assomiglia a un utero materno e il filo di Arianna ad un cordone ombelicale, dato anche dalla ragione, dalla scelta, dalla ricerca umana e dal continuo confronto con il bivio.

 

La via verso il centro del labirinto rappresenta la via verso il mondo sotterraneo, dove il ritorno alla madre Terra è connesso con la speranza di una rinascita e, quindi, si fonde con la tensione verso il Cielo, metaforico spazio delle possibilità, del futuro, del sogno, dell’infinito.

 

Borges: “Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto”.

 

Il personaggio del Minotauro è un embrione, un “germoglio nel ventre della madre”: l’ombra inquietante di possibilità inespresse con cui ciascuno è chiamato a confrontarsi.
Anche lui è doppio: è un ibrido, una contraddizione, mezzo uomo e mezzo animale, espressione dell’opposizione uomo-bestia e di altre sottostanti quali ragione-istinto, cultura-natura, civiltà-kaos, cielo-terra… Egli è “inappartenente” alle categorie, semi-umano, figlio della Terra e delle sue viscere profonde, ma anche (come esprime Borges nel racconto “La casa di Asterione“) fatto della stessa natura delle stelle, dotato di una ingenuità appassionata, di una tensione naturale verso la purezza, la ricerca della luce e della serenità, della risoluzione e accettazione, del ricongiungimento degli opposti nella pace, nella bellezza, nell’equilibrio.

 

Il Minotauro di Borges e Dürrenmatt

 

Nel labirinto non ci si perde
Nel labirinto ci si trova
Nel labirinto non si incontra il Minotauro
Nel labirinto si incontra se stessi
H. Kern

 

Il Minotauro di Borges e Dürrenmatt vive al centro di un labirinto fatto di specchi, simbolo appunto della ricerca di sé attraverso un confronto continuo con i propri doppi e le proprie tante immagini riflesse. Il fine ultimo di questa ricerca è anche l’accettazione del nostro essere “doppi” in una molteplicità di modi: uomo-animale, fatti di “radici” e di contatto con la terra, con la sua energia profonda e originaria, ma anche di “ali”, di passione creatrice e forza vitale, di sogno e fiducia per il futuro, di capacità di osare e disegnare l’infinito. Questa accettazione di tutte le nostre parti permette una pacificazione, una integrazione serena che è simboleggiata dalla morte di Asterione-Minotauro, il quale solo così rinascere, lucente, sotto molteplici forme.

 

Qui il feroce Minotauro diviene una vittima, innocente e inconsapevole della sua essenza malefica e terribile. Dürrenmatt immagina il labirinto come un’immane foresta di specchi, in cui la creatura misteriosa vede moltiplicata all’infinito la propria immagine riflessa. Una folla d’immagini, di doppi speculari, circonda il Minotauro ma egli è solo. E il suo problema è quello di uscire fuori da questa “presa del doppio” per incontrare l’altro (non soltanto un Io, ma anche un Tu). Il Minotauro è una sorta di “assassino buono”, omicida solamente perché ignora il mondo, rinchiuso nel suo universo di specchi.
Abbiamo sempre letto il mito del Minotauro come apologo della brutalità mostruosa, sconfitta dall’astuzia di Arianna e dall’eroismo di Teseo. Friedrich Dürrenmatt rovescia il punto di vista: e se l’essere metà uomo e metà toro non fosse un mostro? Nato dalla bizzarra attrazione scatenata da uno smagliante bovino in Pasifae, figlia del dio Sole e sorella della maga Circe, il Minotauro è rinchiuso dal patrigno Minosse nel labirinto costruito per lui da Dedalo (da cui la metonimia). Quindi, viene incarcerato per un peccato non commesso, dal momento che non lo si può ritenere responsabile dell’insana passione adulterina all’origine del suo concepimento. Ignaro della propria segregazione, confuso dagli specchi che gli fanno credere di essere fra una moltitudine di minotauri, è appagato di vivere i suoi giorni sempre uguali fra illusori individui tutti uguali. Solamente quando la rabbia gli fa mandare in frantumi le superfici di vetro che lo circondano, egli intuisce di essere emarginato, respinto, abbandonato.

 

Infrangere lo specchio è il primo passo verso un’amara autocoscienza. Alla comparsa di Teseo, che si è mascherato da Minotauro per imbrogliarlo, torna il conforto di non sentirsi escluso. Non è più l’unico, non è più “soltanto il suo Io, ma anche un Tu”. È di nuovo la gioia, e la gioia si fa danza.

 

Proprio mentre è tanto euforico e indifeso si svela il nuovo scherno. Teseo gli infligge il colpo fatale e, con la piena consapevolezza di sé e dell’altro, arriva la morte. Forte e invincibile nel fisico, il Minotauro mostra la sua innocente vulnerabilità nell’incapacità di riconoscere la falsità. A ucciderlo non è il coraggio ma l’inganno, da parte di un Teseo che rappresenta anche un suo “opposto”.

 

Questo Minotauro è un personaggio che chiede, in fondo, di essere felice, di pacificarsi ed essere accettato, come anche nel racconto di Borges La casa di Asterione, dove solo le ultime parole rivelano la vera identità del protagonista, fino a questo momento pressoché irriconoscibile. Anche in questa rielaborazione del mito, infatti, il ruolo del Minotauro è capovolto rispetto alla versione originale. Nel mito classico, esso è un mostro orribile e violento che si sazia soltanto di carne umana; qui egli vive solitario, aggirandosi nel labirinto-prigione, condannato alla solitudine dalla sua diversità, simbolo di una condizione umana destinata all’incomunicabilità e alla solitudine.
 Nessuna creatura lo accetta, né lui dimostra un vero interesse verso gli esseri umani. L’unico modo per uscire dal suo isolamento è l’invenzione di un doppio, un altro Asterione con cui dialogare e rispecchiarsi, ma che non può liberarlo dalla sua condizione.
In questo senso, egli attende la morte come una liberazione, che gli sarà infine offerta da Teseo, qui nell’ambiguo ruolo di carnefice-salvatore. Asterione non è un mostro, ma un essere pacifico e sensibile, e il labirinto non è un luogo di prigionia, ma la sua casa.

 

Qui, Teseo è un opposto di Asterione: rappresenta l’eroe organico riconosciuto, l’uomo accettato, terreno, concreto, culturalmente associato al “positivo”, realista… versus un eroe “assurdo”, fuori dalla civiltà, la bestia rifiutata, irreale ma anche “figlia delle stelle”.
Asterione è il doppio del nostro lato “visibile” e riconosciuto: è il kaos primordiale da cui nasce una nuova vita, il nostro lato selvaggio e oscuro, l’altra metà della duplice natura da integrare, l’istinto e la rabbia, la forza da incanalare, ma anche la natura primigenia, la tensione verso l’infinito.

 

Teseo si muove, in fondo, prevedibilmente, in senso rettilineo: orizzontalmente,verticalmente, razionalmente e “culturalmente utile”, equilibrato. Asterione si muove in senso circolare e curvilineo, a spirale, con ossessione e rabbia, forza primigenia, perché sa e aspetta, spera, al centro del labirinto, che qualcosa o qualcuno lo aiuti a salvarsi. Il suo moto può apparire costruttivamente “inutile”… ma in questo senso Teseo è “pesante” mentre Asterione è “leggero” perché tende al cielo, al nuovo, al non conosciuto, sogna e gioca con i sogni. La sua leggerezza è faticosa, concentrica, sognante. Asterione appare consumarsi attorno al proprio vuoto. L’infinito e la solitudine sembrano condannarlo ad una irrealtà irrisolvibile: non distingue i propri sogni dalla realtà levigata degli specchi. Non distingue i sogni e la forma netta e riflessa di sé. Gli specchi lo riconducono soltanto a se stesso e sempre a se stesso. Del labirinto, dopo tanto vagare, occupa oramai solo il centro. In fondo, niente può sorprenderlo più veramente e, alla fine, cede senza resistenze, ha compreso finalmente tutto.