AMORE – RABBIA

 

Si può imparare ad amare.

La rabbia spesso è bisogno di amore.

Una furia amorevole.

Un amore furioso.

Uno sguardo che grida, e chiede di essere toccato.

 

Citazioni dalle “Lettere a Theo” di Vincent Van Gogh:

“Nell’amore così come in tutta la natura c’è un appassire e un rifiorire, ma non una morte definitiva. La marea si alza e si abbassa, ma il mare resta il mare. E nell’amore, che sia per una donna o per l’arte, ci sono momenti di sfinimento e di debolezza, ma non un disincanto duraturo”.

 

“In fondo, cosa è creare? Creare è l’azione di aprirsi un varco attraverso un invisibile muro di ferro, che sembra trovarsi fra ciò che si sente, e ciò che si può. In che modo attraversare questo muro? Non serve a niente colpire con forza, bisogna minarlo subdolamente e attraversarlo con la lima, scavandovi sotto lentamente e con pazienza.”

 

“Gli uomini si trovano spesso nell’impossibilità di fare qualcosa, prigionieri di non so quale gabbia orribile, orribile, spaventosamente orribile.
 Non si sa sempre riconoscere che cosa è che ti rinchiude, che ti mura vivo, che sembra sotterrarti, eppure si sentono non so quali sbarre, quali muri. Tutto ciò è fantasia, immaginazione? Non credo, e poi ci si chiede: «Mio Dio, durerà molto, durerà sempre, durerà per l’eternità?».”

 

“Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? È un affetto profondo, serio. Essere amici, essere fratelli, amare, spalanca la prigione per grazia potente. Ma chi non riesce ad avere questo rimane chiuso nella morte. Ma dove nasce la simpatia, lì rinasce anche la vita.”

 

“Te”, di Erich Fried – leggi pdf

 

“È quel che è”, di Erich Fried – leggi pdf

 

 

CREONTE – di Max Franti

 

“Se poggio l’orecchio a terra sento il cuore che batte. Pensavo fosse quello di Antigone. L’invincibile cuore di Antigone. Ma Emone, mio figlio, s’è perso, non si trova più. Un cuore che batte così forte non può essere solo. Ho seppellito Antigone da qualche parte che ho dimenticato con cura, con la cura folle di chi ha perso tutto, vincendo un impero.

Non so se era coraggio o speranza, se avevo paura o desiderio, ma sono sceso lentamente come un ladro nelle mie cripte, dove ho condannato Antigone alla terra. Le pietre del mio palazzo mi erano estranee: somigliavano così tanto alle mie rughe. Emone, dove sei? Perché?

Discendendo scopro chi sono. Lo faccio con terrore. Scalino dopo scalino, pietra dopo pietra, il palazzo mi racconta un’altra storia da quella che ho sempre voluto ascoltare. Ho seppellito Antigone perché aveva trasgredito. Ho seppellito Antigone dentro di me. Emone non si trova e quella stanza era così grande per una donna sola e forte. Ho seppellito Antigone e mio figlio non si trova.

Scendendo, il cuore incalza, non so se nelle orecchie o nel mio petto. La terra, spenta e bruna, arde e vive dentro quella stanza. L’amore arriva sino in fondo, sotto le fondamenta del castello, forse lo sorregge. Antigone ha trasgredito alla legge, alla mia legge, alla mia povera legge, alla mia stupida legge. Non le ho permesso di seppellire il padre. Ed ora mio figlio non si trova.

Qualsiasi cosa incontri, quaggiù, vuole uscire, liberarsi alla luce. Non ero mai disceso così in profondità. L’odore acre della terra è pieno, denso, come portasse una sua verità. Ho di fronte la pietra: di là batte il cuore di Antigone.

Il suono regolare della terra. Vedo i suoi occhi che mi guardano. Hanno la tranquillità di chi ha compiuto ciò che doveva compiere.

Ho seppellito Antigone, ma è forse vero? Questi occhi non sembrano capaci di essere seppelliti. Sono nel punto più profondo del mio castello. Ho seppellito Antigone e mio figlio è lì, con lei.

Forse ha capito qualcosa che non avevo mai compreso.

Un cuore batte ancora. Non è più il mio.”